Racconto vincitore della Menzione Speciale della Giuria
Concorso Itaca, Bologna 2011
“Migranti e viaggiatori: qual è la nostra casa”
Io e la mamma occupavamo la prima stanza del corridoio, con vista sui binari della Stazione Centrale. Non era una reggia, ma in compenso alcune sere mangiavamo il buon cibo che le coinquiline coreane preparavano. In termini pratici, il vantaggio era la prossimità ad una scuola elementare, dove ci accolse il Preside per analizzare il nostro caso.
Mia madre gli spiegò che avevo iniziato l’anno scolastico prima in Brasile e poi a Roma e che capivo bene l’italiano. E comunque ero sveglia, aggiunse, avrei imparato in fretta.
Mi guardò benevolo, ma non poteva dirsi soddisfatto dalle sue rassicurazioni. Decise di propormi una breve prova.
-Senti, Amanda. Facciamo così, iniziamo con i numeri. Da uno a venti! Così vediamo a che punto sei.
-Sì.. Uno, due, tre..
Tutto andò liscio fino all’ impronunciabile quattordici. Incespicai e mi bloccai.
Ecco, pensai, ora è tutto finito. Quest’ uomo mi riterrà una povera stolta, incapace persino di imparare una banalità come i numeri, inadatta all’ apprendimento e finiranno per mandarci via dall’Italia.
–Quatordici! Sì, quatordici, quindici, sedici…
Nessuno mi fermò più e salvai me e la mamma da un rimpatrio forzato con l’accusa infamante di ignoranza grave.
Giunse il momento di iniziare alla nuova scuola: mi venne presentato lo squadrato taglio di capelli nerissimi della maestra d’italiano De Nigris. Era una donna elegante, ma di una durezza nello sguardo che mi raggelò all’istante.
Ricordo la prima lezione, quando sentii dire a un interrogato:
-Il= articolo determinativo maschile singolare; gatto= nome comune di cosa maschile singolare; è = predicato verbale…
Rimasi a bocca aperta! Cos’era quello? Un codice complessisimo? Un enigma, sicuramente! Subito però mi scoraggiai pensando al fatto che ci avrei messo moltissimo prima di riuscire a fare lo stesso del bambino coi dentoni.
-Questa è l’analisi grammaticale, Amanda -mi spiegò glaciale la cara donna- Alla tua scuola facevate qualcosa di simile?
-No..
-Beh, imparerai presto- concluse categorica.
La maestra De Nigris, come a rendere vera la sua previsione, mi interpellava ed incalzava in continuazione.
Progressivamente però conquistai la lingua e, parlando italiano, mi sentii invogliata e autorizzata a farmi la mia prima amica. Questa fu Marzia.
La ricordo sempre in fuseaux di cotone multicolore, intenta a piroettare o a cadere per terra, insomma in una qualche attività fatta al massimo dell’energia, che le faceva avere sempre i capelli sudati sulla nuca. In cortile giocavamo fino allo sfinimento, rincorrendoci tra gli alberi dei quattro cantoni, urlando eccitate. Alla fine della ricreazione ci prendevamo la mano nella fila per tornare in classe. Finchè una volta mi invitò ad andare da lei dopo la scuola, a vederci un film.
In quel ritaglio di tempo, sul tappetto del salotto di Marzia, lei in fuseaux, noi due con le gambe all’aria lanciandoci addosso popcorn, dimenticai tutte le peculiarità della mia vita. Mi sentii sollevata da un respiro di spensieratezza, sentendo che non tutto ciò che era bello era rimasto in Brasile, lontano da me. Marzia era lì, vicina, la mia nuova casa.