Imparando l’ italiano

•01/02/2012 • 1 Comment

Racconto vincitore della Menzione Speciale della Giuria

Concorso Itaca, Bologna 2011

“Migranti e viaggiatori: qual è la nostra casa”

Io e la mamma occupavamo la prima stanza del corridoio, con vista sui binari della Stazione Centrale. Non era una reggia, ma in compenso alcune sere mangiavamo il buon cibo che le coinquiline coreane preparavano. In termini pratici, il vantaggio era la prossimità ad una scuola elementare, dove ci accolse  il Preside per analizzare il nostro caso.

Mia madre gli spiegò che avevo iniziato l’anno scolastico prima in Brasile e poi a Roma e che capivo bene l’italiano. E comunque ero sveglia, aggiunse, avrei imparato in fretta.

Mi guardò benevolo, ma non poteva dirsi soddisfatto dalle sue rassicurazioni. Decise di propormi una breve prova.

-Senti, Amanda. Facciamo così, iniziamo con i numeri. Da uno a venti! Così vediamo a che punto sei.

-Sì.. Uno, due, tre..

Tutto andò liscio fino all’ impronunciabile quattordici. Incespicai e mi bloccai.

Ecco, pensai, ora è tutto finito. Quest’ uomo mi riterrà una povera stolta, incapace persino di imparare una banalità come i numeri, inadatta all’ apprendimento e finiranno per mandarci via dall’Italia.

Quatordici! Sì, quatordici, quindici, sedici…

Nessuno mi fermò più e salvai me e la mamma da un rimpatrio forzato con l’accusa infamante di ignoranza grave.

Giunse il momento di iniziare alla nuova scuola: mi venne presentato lo squadrato taglio di capelli nerissimi della maestra d’italiano De Nigris. Era una donna elegante, ma di una durezza nello sguardo che mi raggelò all’istante.

Ricordo la prima lezione, quando sentii dire a un interrogato:

-Il= articolo determinativo maschile singolare; gatto= nome comune di cosa maschile singolare; è = predicato verbale…

Rimasi a bocca aperta! Cos’era quello? Un codice complessisimo? Un enigma, sicuramente! Subito però mi scoraggiai pensando al fatto che ci avrei messo moltissimo prima di riuscire a fare lo stesso del bambino coi dentoni.

-Questa è l’analisi grammaticale, Amanda -mi spiegò glaciale la cara donna- Alla tua scuola facevate qualcosa di simile?

-No..

-Beh, imparerai presto- concluse categorica.

La maestra De Nigris, come a rendere vera la sua previsione, mi interpellava ed incalzava in continuazione.

Progressivamente però conquistai la lingua e, parlando italiano, mi sentii invogliata e autorizzata a farmi la mia prima amica. Questa fu Marzia.

La ricordo sempre in fuseaux di cotone multicolore, intenta a piroettare o a cadere per terra, insomma in una qualche attività fatta al massimo dell’energia, che le faceva avere sempre i capelli sudati sulla nuca. In cortile giocavamo fino allo sfinimento, rincorrendoci tra gli alberi dei quattro cantoni, urlando eccitate. Alla fine della ricreazione ci prendevamo la mano nella fila per tornare in classe.  Finchè una volta mi invitò ad andare da lei dopo la scuola, a vederci un film.

In quel ritaglio di tempo, sul tappetto del salotto di Marzia, lei in fuseaux, noi due con le gambe all’aria lanciandoci addosso popcorn, dimenticai tutte le peculiarità della mia vita. Mi sentii sollevata da un respiro di spensieratezza, sentendo che non tutto ciò che era bello era rimasto in Brasile, lontano da me. Marzia era lì, vicina, la mia nuova casa.

2011 in review

•04/01/2012 • Leave a Comment

The WordPress.com stats helper monkeys prepared a 2011 annual report for this blog.

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A San Francisco cable car holds 60 people. This blog was viewed about 1,900 times in 2011. If it were a cable car, it would take about 32 trips to carry that many people.

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Fiori

•12/04/2011 • 1 Comment

Sebastopoli nel mese di dicembre (1855)

•31/03/2011 • 1 Comment

L’aurora comincia appena a colorare il cielo sopra l’orizzonte di monte Sapùn; la superficie blu scuro del mare si è già scrollata di dosso il buio e aspetta il primo raggio per far scintillare i suoi allegri luccichii; dalla baia arrivano freddo e nebbia; non c’è neve: tutto è nero ma il freddo tagliente del mattino afferra il viso e scricchiola sotto i piedi, e soltanto il lontano, implacabile sciabordio del mare, interrotto di tanto in tanto dagli spari che eccheggiano a Sebastopoli, infrange il silenzio del mattino.

Lev Tolstòj

Il lato ombra

•21/03/2011 • 3 Comments

 

Non cercare di distruggere i tuoi demoni; trascendili.

Rodtchenko e il mio sabato

•18/03/2011 • 2 Comments

L’entrata alla Pinacoteca il sabato è gratuita e ne approffito per vedere la mostra di un fotografo russo. Gli anni ‘20, l’Unione Sovietica in bianco e nero attraverso gli occhi costruttivisti di Rodchenko. Quando esco mi diriggo al vicino quartiere Bom Retiro, area commerciale di tessuti e vestiti che richiama persone dal Brasile intero per fare acquisti. Originariamente la regione fu popolata e abitata da ebrei dell’europa orientale, che vi costruirono nel 1912 la prima sinagoga della città. Il quartiere arriverà nel tempo a contare ben dieci sinagoghe. Oggi però a dominare sono i coreani, che laboriosamente si sono infiltrati nelle fitte maglie della distribuzione di abbigliamento all’ingrosso. Ma persistono ricordi del tempo passato, come la Casa Bulgara, fondata nel 1975 da Lona Levi, appena giunta in Brasile. La sua specialità è la bureka, un tortino di pasta sfoglia e ripieno di formaggio, accompagnato da una salsa di peperoni verdi. Costa appena 2 reais, 90 centesimi di euro l’una. Per concludere la mia immersione in questo mondo slavofilo niente meglio di uno strudel di mele.

Rodchenko a SP

•18/03/2011 • 1 Comment

Uno, nessuno e centomila.

•03/03/2011 • Leave a Comment

Avete mai veduto costruire  una casa? Io tante, qua a Richieri. E ho pensato:

“Ma guarda un po’ l’uomo che è capace di fare! Mutila la montagna; ne cava pietre; la squadra; le dispone le une sulle altre e, che è che non è, quello che era un pezzo di montagna è diventato una casa”.

-Io- dice la montagna – sono una montagna e non mi muovo.

Non ti muovi cara? e guarda là quei carri tirati da buoi, sono carichi di te, di pietre tue. Ti portano in carretta, cara mia! Credi di startene così? E già mezza sei due miglia lontano, nella pianura. Dove? Ma in quelle case là, non ti vedi? Una gialla, una rossa, una bianca; a due, a tre, a quattro piani.

E i tuoi faggi, i tuoi noci, i tuoi abeti? Eccoli qui, a casa mia. Vedi come li abbiamo lavorati bene? Chi li riconoscerebbe più in queste sedie, in questi armadi, in questi scaffali?

Tu montagna, sei tanto più grande dell’uomo; anche tu faggio, e tu noce e tu abete; ma l’uomo è una bestiolina piccola, sì, che ha però in sè qualcosa che voi non avete. A star sempre in piedi, vale a dire ritta su due zampe soltanto, si stancava; a sdraiarsi per terra come le altre bestie non stava comoda e si faceva male, anche perchè, perduto il pelo, la pelle le è diventata più fina. Vide allora l’albero e pensò che poteva trar fuori qualche cosa per sedere più comodamente. E sentì che non era comodo neppure il legno nudo e lo imbottì (…).

Il cardellino canta nella gabbietta sospesa tra le tende alla finestra. Sente forse la primavera che s’approssima? Ahimè, forse la sente anche l’antico ramo del noce da cui fu tratta la mia sedia, che al canto del cardellino scricchiola. Forse s’intendono, con quel canto e con questo scricchiolio, l’uccello imprigionato e il noce ridotto sedia.

 

SP View

•22/02/2011 • Leave a Comment

E’ domenica mattina, per questo le poche macchine per le strade. I palazzi sono una muraglia in lontanza, la mata atlantica, sebbene ingabbiata e regolata, è pur sempre densa, pur sempre viva.

Aspettare il bus.

•22/02/2011 • 1 Comment

Aspettare il bus accucciati ai piedi di questi giganti, che s’innalzano paterni sopra di te. L’aria è fresca, profuma di verde, i rumori restano impigliati in una qualche rete invisibile in cui sei immerso insieme all’albero.